Budapest: Storie di ordinaria follia

Non ho la presunzione di affermare che il mio viaggio in Ungheria sia stato il più esilarante ed interessante della storia, anzi! Eppure una sfortunata serie di eventi ha portato alla creazione di un mix di momenti magici in questa città, Budapest: Signora del Silenzio.
E poi, è stato il mio primo viaggio da sola, il che conta eccome!

Domenica 25 gennaio: Budapest

si parte! Ore 5.45 – tosse, tracheite e forse un pochino di febbre mi accompagnano verso l’aeroporto, che carine.. il meteo ungherese poi non promette di certo caldi pomeriggi di sole, mi aspettano infatti temperature tra meno tre e zero gradi. Ma io sono montagnina e mi fa un baffo.

Nonostante abbia dormito appena due ore la notte precedente, visto che la mia cara vecchia amica insonnia ha deciso di tornare a trovarmi, sono elettrizzata più che mai. Esco di casa di corsa, prendo la metro, scendo alla stazione di Termini e inizio a vagare cercando il bus per Ciampino, decido di chiedere informazioni, che mi vengono date sbagliate. Aspetto dieci minuti e mi spazientisco. “Ma a che ore passa il bus scusi?” – “Alle 7.25”. Ottimo! Sono le 6.25 e alle 7 devo essere in aeroporto.

C’è qualcosa che non va. Corro dalla parte opposta della stazione (che proprio piccola non è), ansimando copiosamente. Imprevisto: in tutto ciò il cellulare decide di farsi un giro turistico fuori dalla mia tasca e si tuffa di testa sul pavimento..adesso.sembra coperto dalla ragnatela di Spideman, oppure potrebbe ricordare un’opera di Pollock. Ma non ho tempo per imprecare. 6.30 – intravedo in lontananza un autobus rosa (rosa?!), è il mio..(rosa, davvero?!). Cerco di sorvolare sul colore e mi ci tuffo sopra. Parte alle 6.40, ce l’ho fatta.

Ore 8 –

Mi sento Wonder Woman, potente e vincitrice; supero i controlli senza problemi, mi dirigo al gate con il giusto anticipo già pronta psicologicamente a salire sull’aereo quando…aereo in ritardo, solo il mio tra l’altro. Ma perché tutte le sante volte? Respiro, ommm. Mi cimento in una specie di colazione: te caldo e panino vengano (non lo so perché l’ho fatto; la privazione di sonno gioca brutti scherzi) che fa veramente schifo. Poi finalmente il decollo.

Ore 14 – Budapest

Con mio grande stupore il trasferimento dall’aeroporto alla metro è andato liscio come l’olio, non sono abituata! Finalmente esco a respirare l’aria – gelida – di Budapest accolta da una sorta di nevischio galleggiante, che splendore! Cartina alla mano sballonzolata dal vento, sono pronta a raggiungere l’hotel…ma dove sono? Che nomi hanno le vie? Ma che lingua è???

Il problema di viaggiare da soli è che,  specialmente all’inizio, il non poter contare su nessuno fuori che te stesso, potrebbe causare piccoli attacchi di ansia o panico. In quei momenti basta schiaffeggiarsi mentalmente e ti riprendi. Modalità survivor: ON. Torno alla metro e chiedo indicazioni al personale che, non parlando inglese, mi caccia infastidito verso la strada di destra ma non sono proprio sicura per cui uscendo chiedo conferma ad una passante. Conferma, ma assai titubante.

Io devo ancora orientarmi per cui non mi resta che fidarmi. 500 metri di passeggiata nella tormenta dopo capisco che sto andando nella direzione opposta: complottisti! Giro sui tacchi, allungo il passo e arrivo all’hotel già leggermente congelata. Imprevisto: all’hotel risulta prenotata una sola notte a nome mio e nemmeno questa, bensì quella di domani.

Expedia, complottista pure tu! Respiro, chiedo spiegazioni ma c’è ben poco da spiegare: la receptionist gentilissima mi sposta il pernottamento a stanotte ma domani tocca cercarne un altro (alla fine non mi dispiace così tanto perché effettivamente è proprio lontano dal centro). Tolgo i vestiti congelati dalla neve, ne metto di nuovi e caldi e sono pronta a ripartire più agguerrita che mai con due paia di calze di lana, calzamaglia, maglia termica, maglione di lana, guanti sciarpa e piumino. Una montagnina fuffa. Ce la posso fare.

Prima tappa: Buda,

la città antica che troneggia su Pest dall’alto della collina. Attraverso il Danubio dal Chain Bridge (Ponte delle Catene) e arrivo ai piedi di una salita; posso scegliere se farmela a piedi (20 minuti) o pagare poco più di due euro e salire con la funicolare. Ovviamente la risposta la potete scovare da soli..e poi la funicolare è adorabile, pare un giocattolo!

Giunta in cima vengo accolta da una bufera fin peggiore e il gorgoglìo dello stomaco mi ricorda di dover pranzare quindi cerco riparo in un buon piatto di zuppa di gulasch (imperdibile ovviamente). L’atmosfera qui è così surreale che il freddo passa in secondo piano: cammino per le strade con la mente in viaggio e sospesa nel tempo. Il castello, la basilica, i bastioni, le vie ma soprattutto:

il labirinto;

oh, il fascino che esercitano su di me i labirinti.. non potevo che cedere alla tentazione, è stato come il canto delle sirene.

Mi ci fiondo; scalette ripidissime che scendono nel buio, nelle viscere della terra: pago il biglietto e domando: “Ma si tratta di un vero labirinto? Come faccio a sapere dove andare?”; risposta loquace: “Sulle pareti c’è qualche freccia, seguila e prima o poi trovi l’uscita”. Bene, entro.

Il soffitto è poco lontano dalla mia testa, le luci soffuse e offuscate da una nebbiolina persistente, in sottofondo canti gregoriani e poi pannelli che spiegano come in antichità qui ci fosse stato rinchiuso il grande Conte Dracula. Ok, mi spavento? Cammino di qua e di là, mi sembra che nulla abbia una logica, ma è questo esattamente l’obiettivo di un labirinto: disorientarti no?

A volte qualche voce umana mi regala un po’ di tranquillità.. a un certo punto, alla fine di un cunicolo, illuminato da fioche lucine blu sul pavimento, mi trovo davanti ad alcune teste impalate. Oddio! Poi sulla destra mi sbuca una ragazza, evidentemente nel mio stesso stato d’animo, che vedendomi si spaventa e grida. Oddio! Grido pure io. Oddio! In lontananza percepisco la scritta Exit: sono salva. Esperienza ultra sensoriale che comunque consiglio a tutti.. magari in compagnia!

Ore 17 –

Il sole è scappato e la notte sta prendendo il sopravvento: la città illuminata prende decisamente un’altra piega e, se possibile, è ancora più bella. Vale la pena passeggiare per le strade, lungo il Danubio per arrivare davanti a quell’immensa opera d’arte che è il Parlamento e le numerose vie così belle in cui perdersi senza meta. Un’ora dopo capito davanti ad una micro trattoria con pochi tavolini e tovaglie a quadretti, proprio ciò che cercavo.

Il menù, grazie a dio, è completamente illustrato: vedo un piatto con polpette, tutti amano le polpette, ok, preso! L’aspettativa però viene subito tradita dall’aspetto: due polpette della dimensione di una pallina da tennis galleggiano in un brodo densissimo di pomodoro, credo; ma il profumo è buono quindi mi butto. Mio dio, è disgustoso!

Provo a cacciarlo giù a forza ma davvero non ce la faccio..e adesso come lo dico al signor oste così tanto gentile? Chiedo subito il conto e lascio tantissima mancia perché mi dispiace avanzare il cibo. Di buon passo mi dirigo verso la metro, sono esausta, è ora di dormire.

Ore 21 –

Dopo una doccia bollente e un po’ di relax la fame non mi lascia dormire; prima ho notato che l’hotel ha un ristorante interno che chiude alle 22, forse un panino o qualcosa riesco ancora a recuperarlo… Imprevisto: alle 22 sta cippa! È tutto chiuso, allora prendo coraggio ed esco al gelo alla disperata ricerca di cibo.

Il quartiere non mi pare malfamato ma son pur sempre lontana dal centro di Budapest, isolata nel nulla ed è buio; ma generalmente queste menate non me le pongo e poi ho fame. Qui tutto tace, avvolto in una bolla di silenzio.. in lontananza vedo un benzinaio; compro un tramezzino ghiacciato che sembra cartone e mi rifugio in camera al calduccio. Non lo digerirò mai.

Lunedì 26: Ore 6.48 – Budapest

l’amica insonnia proprio non mi vuole lasciare, dormo poco e male ma non importa, prima mi sveglio,  prima posso visitare Budapest. Mi dirigo verso la fermata dell’autobus e ci rimango impiantata per dieci minuti buoni (che al freddo sembrano dieci anni); strano perché ieri ogni due minuti ne passava uno; la gente mi fissa come fossi scema per cui inizio a farmi due domande. “Quell’autobus non passa oggi, prendi la metro” mi spiega una ragazza in un inglese stentato. Aaaah ecco.

Arrivo nei paraggi della mia prossima tappa: il mercato centrale di Nagycsarnok (ma vi rendete conto? Ma come si pronuncia?): immenso, un mix di profumi, cibi, spezie e souvenir/prodotti di folklore che da brava italiana definirei tremendamente kitsch. Lo percorro in lungo e in largo, piano terra, primo piano, scale, scalette, sottoterra immersa in un odore di pesce rivoltante.. ma il tutto decisamente molto interessante.

Poi schizzo alla scoperta di Pest,

la parte più moderna della città: il ponte della libertà nel suo spavaldo verde che collega la città alle terme di Gellert, il quartiere ebraico con il suo simbolo, la Grande Sinagoga, infine opto per rinchiudermi al caldo visitando la Casa del Terrore (dove torturavano i dissidenti di guerra) ma, dopo aver percorso parecchi chilometri, vengo derisa dalle guardie al portone perché oggi è chiuso.

Complottisti, tutti quanti! Esausta dai km e dal freddo decido di meritarmi un pit-stop alle terme (imperdibile!). Opto per quelle di Gellert perché son le più vicine al mio hotel ma se non erro dovrebbero essercene all’incirca sette di centri termali, quindi che state aspettando? Mi sono concessa pure dieci minuti di pisolino a mollo nell’acqua termale a 38 gradi, goduria pura!

Ore 17 –

Dopo un breve pranzo a base di manzo marinato nella paprika e in mille altre spezie con una sorta di gnocchetti come contorno (forse non suona proprio bene ma fidatevi che era davvero buono!) faccio una pausa in hotel, recupero un altro maglione e si riparte a macinare chilometri per Budapest.

La prossima tappa sarà l’Isola Margerita!

Si beh, devo aver fatto male i conti perché quando ci arrivo è totalmente buio e quindi vedo solo un ammasso di lucine sparse qua e là, che comunque hanno il loro fascino; in compenso rimango estasiata dal ponte che collega l’isola alla città..un’opera d’arte che ricorda un grande Luna Park.

Mi perdo a passeggiare per i quartieri e ammetto che per un istante mi è quasi parso di essere a Parigi per via dell’architettura di alcuni palazzi. Cammino verso Sud e mi imbatto nella Basilica di Santo Stefano sulla quale si affaccia un ristorante bellissimo: ma sì per l’ultima cena mi tratto bene!

E bene: dell’ultima cena mi sono rimaste impresse in faccia alcune macchie rosse dopo aver ingurgitato delle leggerissime salsicce adagiate su un letto di patate e maionese.. diciamo che i piatti in generale non sono propriamente light.. ma che buoni!! Tre ore dopo le macchioline non se ne sono ancor andate, stanno lì, spavalde.. mah!

Ore 23 –

È già da un’ora che mi rigiro nel letto.. gira e rigira sto quasi per seguire un “saggio” consiglio che mi è stato dato di “scendere al primo pub, farmi tre shot di vodka e tornare subito a letto”. Lancio uno sguardo alla strada, deserta, fa freddo.

In lontananza vedo un ometto che barcolla nella mia direzione, giunto sotto al portone punta la fioriera e la usa come wc. Ok, niente shot, stai a casa che è meglio. Alle 3.50 mi viene a svegliare il ragazzo della reception, quello che poche ore prima alla domanda “Hei, how are you?” mi ha riposto “I’m the receptionist”, esilarante.

Ore 5 –

Sono in aeroporto ad aspettare che aprano il gate ma conoscendomi potrebbero succedere ancora chissà quante cose. Spendo gli ultimi fiorini per una colazione bizzarra composta da te caldo alla menta e miele con tramezzino al pollo e limone, mi accoccolo su un seggiolino e attendo. Si torna a casa.

Viaggiare da soli è un’esperienza celebrale davvero incredibile che consiglierei a chiunque.
Io l’ho adorato e ho adorato Budapest.
Köszönöm!

Vi invito a leggere gli articoli del mio diario di viaggio!