MIRKO ZULLO: come si scrive un libro ma soprattutto PERCHÈ

Non è semplice approcciarsi ad un artista così poliedrico come Mirko Zullo, amante della poesia, scrittore di romanzi, regista, sceneggiatore, insegnante. Cioè, è facile sì approcciarsi ad un’anima così colorata, infatti l’ora e mezza di intervista (che è stata più che altro una bella chiacchierata) è volata, ma non è facile scegliere il focus su cui far vertere la conversazione. Ho scelto allora l’interesse di Mirko che più stuzzicava anche il mio: la scrittura e – bingo! – ho scoperto essere anche il suo grande, vero amore.

Di libri ne ha pubblicati diversi ma ho scelto di focalizzarmi sul suo ultimo successo, “Nonnasballo”, edito da Cairo, un libro scherzosamente serio, disarmante nel suo voler affrontare tematiche difficili senza alcuna esitazione. Con uno stile leggero che sviscera situazioni reali, serie e del quotidiano, una delicatezza femminile che spiazza per la sua forza inaspettata, un romanzo sulle donne: una storia di coraggio e rinascita. Ma prima di addentrarci nel romanzo, voglio capire chi è il suo scrittore.

Come è iniziata la tua liaison con la scrittura?

Mi sono approcciato al mondo della scrittura quand’ero un ragazzino, avrò avuto 13/14 anni, allora mi appassionava la poesia; si trattava inizialmente di una scrittura imitativa. Leggevo ciò che mi emozionava cercando di capirne il motivo, come mai un certo accostamento di parole fosse in grado si suscitare certi sentimenti e poi provavo anche io a scrivere, imitavo appunto.

Col tempo la scrittura è diventata per me un rifugio, nessuno ha saputo per anni che scrivessi, era il mio segreto e mi faceva sentire protetto. Dopo diverso tempo mi sono confidato con un amico, gli ho detto che scrivevo e così insieme abbiamo deciso di portare i nostri scritti ad un personaggio locale molto poliedrico.. ed è stato devastante. Ho dovuto affrontare le critiche e le sue osservazioni ma ne ho fatto tesoro, è stato un incontro positivo tanto che con questa persona siamo amici ancora oggi, dopo tanti anni.

La poesia è stata per me un’ottima culla ma col tempo ho capito di non appartenere a quel mondo bohémien, troppe etichette: non bisognava essere troppo pop, né troppo main-stream.. non mi sentivo libero, così ho iniziato a sperimentare la narrativa approcciandomi ai racconti brevi. All’epoca il pensiero di scrivere un romanzo mi sembrava assurda, ingestibile, mi sentivo più vicino al tempo narrativo del racconto breve dove ti focalizzi su un istante. E’ la fotografia di un momento e hai pochissimo tempo per accalappiare l’attenzione del lettore, però rappresentava una durata di stesura per me più affrontabile, il romanzo invece ha un tempo più lento di narrazione in cui puoi anche coccolare il lettore ma implica un impegno da parte dello scrittore molto più ampio.

La tua prima opera?

Il primo romanzo l’ho scritto nel 2008 ed è stato pubblicato nel 2010: Quando cupido è sbronzo; come spesso accade per le opere prime, mi sono ispirato un po’ alla mia storia personale, si tratta in effetti di una sorta di diario autobiografico e tratta di un ragazzo che si trasferisce dalla provincia alla grande città. Un po’ come ho fatto io spostandomi da Verbania a Milano insomma..

Oggi ho fatto pace con Verbania e la vita provinciale, è successo nel momento in cui ho capito di essere libero di poter andare ovunque e di tornare, perchè fa bene anche avere un posto in cui sentirsi a casa. Per quello che volevo fare ho dovuto andarmene e mi sono spostato su Milano, qui non c’era il livello che cercavo. Milano è libertà, anonimato e nessuno che ti fissa, tutto ciò che è opposto agli stereotipi provinciali ma Milano è anche una giungla che ti mette alla prova, un caos, un caos che ora non mi appartiene più.

Questo primo libro

è stato per me un grande banco di prova che mi ha fatto capire quanto sia fondamentale avere una storia da raccontare, qualcosa da dire, altrimenti resta un mero esercizio di stile e anche per trovare la mia chiave narrativa: ossia l’utilizzo dell’ironia per raccontare ogni storia/tragedia con leggerezza. Successivamente ho scritto altri due romanzi: “La crisi dei 29” e “L’ultimo giro di boa”. Quest’ultimo è stato per me un romanzo di formazione perchè ho deciso di raccontare la storia con una narrazione tutta al presente. Si tratta di un tempo del racconto brevissimo, la storia si dipana in un unico pomeriggio al parco. È stato molto divertente per me scriverlo ma forse è più difficile da leggere e ho capito non essere la voce narrativa che più mi appartiene.

A quando la svolta?

Nel 2018 è uscito “Nonnasballo che ha rappresentato un vero e proprio spartiacque tra prima e dopo, è stata la mia prima esperienza con una grande casa editrice, la Cairo Editore con diffusione nazionale, diciamo che è stato il mio esordio. Non è stato affatto semplice, dopo averlo scritto mi ci sono voluti altri otto mesi di lavoro fianco a fianco con la mia agente, che è stata anche mia editor, Cristina Tizian, ed è stato per me un grande colpo di fortuna averla incontrata e aver potuto lavorare con lei.

Come si pubblica un romanzo da esordienti?

Per pubblicare da esordiente non credo ci sia una regola fissa ma sono convinto che l’importante sia non muoversi da soli, se si intente intraprendere questo viaggio seriamente non si può pensare di farlo in totale autonomia. Se col tuo manoscritto vai in una casa editrice è quasi impossibile che qualcuno ti presti attenzione, non serve a nulla, quello che serve invece è avere qualcuno che possa lavorare al tuo fianco sul tuo manoscritto, bisogna affidarsi ad un agente. Ma anche qui non è semplice, ci sono alcune agenzie enormi che hanno tantissimi agenti.. ogni agente ha un particolare rapporto con una casa editrice, bisogna capirlo per poter scegliere l’eventuale collaborazione migliore.

Nel mio percorso, ho contattato Cristina,

la mia agente, attraverso un contatto che mi ha girato un autore invitato ad un evento di presentazione di un libro organizzato dalla mia associazione culturale. Ci ho messo un po’ ma alla fine l’ho convinta, da giugno che la rincorrevo siamo riusciti ad incontrarci in autunno e abbiamo iniziato a lavorare su “Nonnasballo”, un percorso che è durato all’incirca sette mesi. Quando l’opera per noi era pronta, l’abbiamo proposta a Cairo Editore che però ha proposto una battuta d’arresto.. “C’è qualcosa che non mi convince, mettiamolo un attimo in stand-by” ci dissero. Mi veniva da piangere, dopo tanto lavoro, un anno di lavoro.

Cristina allora mi ha proposto di mandarlo ad un concorso di narrativa di Roma che ho vinto. Quella è stata probabilmente la cosa che ha convinto l’editore a pubblicarmi, infatti due settimane dopo la vittoria mi hanno ricontattato. Per quanto riguarda il titolo, volevano cambiarlo ma ormai era il titolo del romanzo che aveva vinto al concorso così è rimasto quello e ne sono molto contento perchè ci ero molto legato, ci tenevo che rimanesse “Nonnasballo”. E poi c’è stata la promozione: la parte forse più entusiasmante! Sono stato in tour per tutta Italia, da Nord a Sud, è stato bellissimo, fino all’incontro a Londra nella libreria di Ornella Tarantola, un vero e proprio punto di riferimento per gli italiani a Londra, da lì passano proprio tutti, Ornella è una donna che stimo molto, davvero coraggiosa.

E ora?

A due anni dall’uscita del mio primo romanzo, ora sono in attesa di sapere se mi pubblicheranno il secondo. Il secondo libro è davvero il più difficile, non tanto da scrivere quanto da pubblicare. Matematicamente occorre scrivere tre romanzi per essere considerato scrittore: col primo sancisci il tuo esordio, il secondo serve per capire se perderai o prenderai nuovi lettori, col terzo hai creato il tuo pubblico. È davvero un percorso tutto in salita. Io ho firmato un contratto di dieci anni con Cairo, fondamentalmente per quel lasso di tempo la casa editrice mi chiede un diritto di prelazione sulle mie opere ma non un contratto di esclusiva, nel senso che se Cairo non fosse interessato a pubblicare il mio prossimo libro posso proporlo ad altre case editrici. Rimango in attesa di una loro risposta..

SCRIVERE DI CIÒ CHE NON SI CONOSCE:

quanta potenza può avere la scrittura se è in grado di generare interi mondi? Come si scrive di qualcosa che non si conosce? Nel libro viene analizzato molto da vicino il decorso della malattia Alzheimer, come hai fatto a descriverlo così precisamente?
Non viene da un’esperienza diretta bensì è frutto di studio: mi sono informato innanzitutto dal punto di vista medico, ho parlato con alcuni dottori e ho fatto delle ricerche per avere le conoscenze specifiche necessarie, la parte però più interessante da sviscerare è stata quella emotiva, più funzionale anche alla narrazione e per quella ho parlato con alcune famiglie che hanno vissuto la malattia in prima persona attingendo direttamente dalle loro esperienze vive ed emotive, osservare la quotidianità e le conseguenze che tale malattia ha su chi gravita intorno al malato, un aspetto che tende a passare in secondo piano.

Il romanzo ha una forte componente femminile anche in questo caso: come si scrive di ciò che non si conosce? 

La vera sfida, la più grande, per me è stata proprio quella: riuscire a costruire una narrativa al femminile e dei personaggi che fossero credibili. Per farlo ho esplorato a fondo la mia parte femminile alla ricerca di fragilità e vulnerabilità ma non perchè siano peculiarità delle donne, anzi anche noi uomini siamo fragili e vulnerabili ma è più una caratteristica femminile quella di affrontare, conoscere nel profondo le proprie fragilità, gli uomini spesso provano a nascondersi dietro la loro mascolinità.

Anche in questo caso, prima di scrivere, ho ascoltato tantissime donne, in special modo la mia nonna, mentre scrivevo il romanzo andavo a trovarla 4 o 5 volte la settimana e la facevo parlare, mi facevo raccontare di tutto, le chiedevo il suo punto di vista sul mondo.. ho cercato di cogliere ogni sua sfumatura nel modo di raccontare e interpretare il mondo cercando di trasformare tutto questo sapere nella chiave per raccontare al meglio la mia storia.

Quali sono i LIBRI che hanno segnato la tua esistenza?

“Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcìa Màrquez per la sua capacità narrativa e la scrittura realista
“Bar Sport” di Stefano Benni, lo lessi mentre facevo il pendolare in treno e ridevo da solo, mi ha fatto compagnia ma soprattutto mi ha fatto capire l’importanza dell’ironia
Irvine Welsh, da lui ho compreso quanto mi piacesse il cinismo
Margaret Mazzantini per l’esistenzialismo

Quando lo splendido mestiere che ho scelto, quello della giornalista (che a volte mi viene da chiamare bonariamente “ficcanaso“) mi porta ad imbattermi in personaggi del calibro di Mirko non posso far altro che sorridere: Mirko è un buono, un allegro ottimista dalla forza contagiosa e soprattutto un uomo umile. Per il poco che l’ho conosciuto questa è decisamente la qualità che più mi ha colpito, forse perchè sempre più rara in un mondo in cui chi meno sa fare, più like conquista. Non voglio perdermi in inutili critiche esistenzialistiche sulla società moderna ma ricordare la spensieratezza, la leggerezza e l’allegria stampate sul volto di Mirko mentre parlava a ruota libera del suo grande amore.

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