Alberto Barberis – il mestiere di REPORTER

Alberto Barberis, classe 1990, alto, molto alto, temperamento tranquillo, barba rossiccia e occhi buoni dietro ai quali quasi non diresti che si nasconde un reporter pronto a sgomitare, a lottare con i denti, a rischiare di prendere botte a destra e a manca; eppure è così, Alberto è un reporter di cronaca con la voglia di raccontare il mondo attraverso la sua telecamera. Nelle vene scorre il sangue di chi vive di adrenalina, di chi si mette in gioco, sempre ma l’amore per le immagini non è un fulmine a ciel sereno di fatti lo accompagna sin da bambino, un chiodo fisso: “Mio nonno era litografo per cui casa sua era sempre piena di libri illustrati, ricordo le giornate passate a sfogliarli e ricordo perfettamente, nello specifico, l’enciclopedia Epidem “Obiettivo foto”, avrò avuto 10 anni, credo che sia nata lì la prima piccola scintilla”.

Alberto oggi lavora per Local Team, piattaforma che genera contenuti video di cronaca in tutta Italia ed Europa, ormai da quasi 7 anni ma come ci è arrivato?

“La scuola in sé non mi ha mai convinto, infatti ne ho cambiate parecchie.. percepivo un vuoto, i professori non stimolavano la mia curiosità, mi sembrava che non riuscissero a trasmettermi nulla.. ma di una cosa ero certo, a me piaceva la fotografia, così mi sono fatto coraggio e sono andato a bussare alle porte degli studi di Walter Zerla e Alessandro Balossi a Omegna, così, senza un vero piano, gli ho solo detto: io voglio imparare a fotografare; per sfinimento mi hanno accettato per quello che non era neanche un vero stage ma quando potevano mi insegnavano qualcosa, erano più che altro set fotografici per aziende, lavori in interni ma con loro ho appreso l’uso dello strumento in sé, è stato molto utile capire cosa tieni in mano”.

All’attivo lavoretti qua e là per mantenere la sua grande passione, mentre passa dal bussare alle porte degli omegnesi a quelle dei milanesi, ha fame di sapere, vuole imparare: “Avevo circa 22 anni quando ho iniziato ad andare a Milano per crearmi un archivio personale di fotografie, seguivo i gruppi di fotografi in giro per la città, volevo entrare in quel mondo a tutti i costi.. un giorno a Milano durante una manifestazione dei forconi, un ragazzo mi ha passato il contatto di un’agenzia milanese, Fotogramma e mi ci sono fiondato. Non sembravano molto interessati ma non ho mollato, sono andato giorno dopo giorno a bussare alla loro porta, a farmi vedere, a chiedere se avessero bisogno una mano.. e così finalmente una mattina mi hanno affidato un servizio. Visto che ero stato rapido e professionale, il capo dell’agenzia mi ha offerto un lavoro così mi sono trasferito a Milano”.

Con Fotogramma Alberto ha collaborato per un anno e mezzo con contratto da freelance seguendo cronaca nera, manifestazioni ed eventi: “Principalmente le nostre foto le acquistavano Il Corriere e La Repubblica; in questa agenzia ho imparato il mestiere di reporter, è un impegno quotidiano, 365 giorni l’anno, 24 ore su 24. Ci sono stati mesi in cui andava bene e altri in cui si tirava la cinghia ma mi piaceva molto, per fare questo lavoro bisogna essere elastici e pronti a buttare giù bocconi amari però non lo cambierei mai con la routine di un lavoro in ufficio, non fa per me, qui si vivono energie nuove con gente nuova ogni giorno”.

Grandi città portano spesso nuovi contatti e così Barberis, mentre segue l’arrivo del Real Madrid a Milano, inciampa nel suo nuovo e attuale capo, Stefano De Nicolo, fondatore di You Reporter e alla ricerca di talenti per la sua nuova creatura, Local Team. Nel nugolo di giornalisti impazziti per l’arrivo dei celebri calciatori Stefano nota Alberto e gli lascia il suo bigliettino da visita: è l’inizio di una lunga e prolifica collaborazione: “Local Team gira video, io non avevo mai preso in mano una telecamera ma quando me l’hanno chiesto ovviamente ho detto di sì. Mi hanno proposto un contratto freelance ma con un tot di servizi garantiti, finalmente potevo avere una certa costanza. Con Local Team sono cresciuto molto, avevo base a Milano ma viaggiavo in tutta Italia inizialmente e poi in tutta Europa, con loro ho seguito diversi eventi importanti: i tentativi per l’Indipendenza Catalana, per circa un mese nel 2018, il G20 di Amburgo, dove sono stati 4 giorni di botte e macchine in fiamme, io seguivo le dirette, ne ho fatta una di 10 ore.. ho seguito per molto tempo le storie dei migranti, sono stato diverse volte a Lampedusa e Malta, ho ripreso l’eruzione del vulcano La Palma e le manifestazioni dei gilet gialli a Parigi, il crollo del Ponte Morandi e la tragedia del Mottarone. Le giornate lavorative diventano di 18 ore, è tutto caotico, questo lavoro ti smalizia, per forza di cose ti obbliga a scrollarti di dosso la paura e i timori, insomma ti devi svegliare per portare a casa il servizio.

Alberto condivide un ricordo a cui è molto legato, il ricordo di un viaggio: “A maggio del 2016 feci un viaggio a Tel Aviv, i primi giorni trascorsi lì furono fantastici, conobbi in poco tempo e profondamente la cultura e la storia del luogo ma la voglia di vedere cosa succedeva fuori da quel “paradiso” era troppa: vado a Ramallah, sono troppo curioso – “Ma ti sparano, gli arabi sono strani”. Presi comunque un autobus fino a Gerusalemme, pernottai una notte nei pressi della porta di Damasco in un ostello ricavato dal tufo, feci colazione con caffè speziato e dolcetti orientali e ripresi l’autobus, tratta Gerusalemme-Ramallah: vietato portare armi da fuoco, esibire i documenti, essere sempre pronti a scendere per qualsiasi tipo di controllo. Oh cazzo, i check-point. Avevo sottovalutato quanto fosse militarizzata la zona stando per giorni nella città-paradiso. L’arrivo alla frontiera fu tragico, l’autobus faceva fumo e rumori sinistri, il caldo era asfissiante e il militare che salì per l’ennesimo controllo probabilmente si era svegliato con la luna storta – Scendi! – fu l’ultima parola civile e non accusatoria che mi rivolsero. Mi scambiarono per un attivista pro-Palestina e la successiva ora – non saprei dirlo però con esattezza – la passai in uno stanzino piuttosto buio, con un tizio che mi chiedeva come si chiamasse mia madre e altre domande rapide a bruciapelo in successione per verificare l’attendibilità della mia voce e un militare alle mie spalle, in posizione di guardia. Che ansia! Spiegai di esser lì per turismo, per fare foto, anche se non ero tenuto a farlo. Finalmente uscii, ero un po’ scosso e aspettai altre due ore l’ennesimo autobus sgangherato. Entrando a Ramallah le prime cose che vidi le ricordo benissimo: decine di carcasse di automobili date alle fiamme, disordine e caos. Ero eccitato come mai in vita mia.

È un lavoro che a me piace molto, ovviamente, ma come tutti lavori ha un lato negativo: è molto stressante e non bisogna approcciarlo a cuor leggero – come feci io a 20 anni – ciò che è più difficile da gestire sono i picchi emozionali, passi da tre giorni in mezzo alle manifestazioni dei gilet gialli alla quiete dell’Ossola.. la cronaca incide moltissimo sull’umore e bisogna saper gestire questi sbalzi e sapersi schermare dalle emozioni”.

Nonostante i picchi di stress, le gomitate, le condizioni metereologiche avverse e i chilometri al giorno percorsi con attrezzatura sulle spalle Alberto continua ad essere entusiasta del suo lavoro: “Ho intenzione di seguire questa strada ancora per un bel po’, finchè posso ma ho un progetto nel cassetto che è quello, con tutta calma, di allontanarmi lentamente dalla cronaca e approcciare al mondo documentaristico, entrare nell’ottica di poter esprimere me stesso creando contributi culturali, magari all’interno della stessa agenzia; lo staff è giovane e c’è margine di crescita e cambiamenti”.

Alzi la mano a chi è venuta voglia di partire!